Sono molto contenta di poter
presentare, qui, un prezioso testo di uno ugualmente prezioso e grande amico, con
chi ho avuto l´onore di lavorare per un periodo, ed ho la gioia di mantenere l´amicizia e l´affetto fraterno da quando ci siamo conosciuti. Roberto van der Ploeg è nato in Olanda ed è venuto al Brasile, ancora
giovane, per studiare teologia nell´ITER
– Istituto di Teologia di Recife, uno
istituto mantenuto da Don Hélder Câmara, da cui lui è stato amico e fratello.
Ma, Roberto non è solo teologo, è anche uno eccellente pittore riconosciuto dal
suo disegno realista, dai collori vivaci che dimostrano la sua speciale
sensibilità di comprensione e di immersione nella vita del popolo brasiliano del
Nordest, la regione in cui lui oggi vive e tanto ama. Da questo suo testo, che
segue, non mi resta che ricordare quello che ha scritto un´altra grande amica e
teologa brasiliana, Ivone Gebara:
“Andiamo tutte e tutti a cercare di fare lo stesso in tutto quello che
facciamo”.
AMARE IL
PROSSIMO
Nel Vangelo di Lucca
(Lc.10,25-37) c’è uno interessante dialogo tra uno scriba e Gesù di Nazareth.
Si trata di una discussione rabinica, tipica del giudaismo, dove si apprende
discutendo. Lo scriba domanda a Gesù: “Come ereditare la vita eterna?”. Si vede
che l´uomo vede la vita nella terra in funzione della vita dopo la morte.
Gesù risponde,
come buon pedagogo, con una domanda, in modo che l´interlocutore da sè stesso
trove la risposta: “Che dice il Torah e come lo leggi?” Molto buono questo
“come lo leggi”.
Oppure “come lo interpreti?”, evitando qualsiasi
fondamentalismo della unica ed esclusiva lettura alla lettera. Lo scriba risponde citando il Shema Israel, nel libro del Deuteronomio (DT.6,5) e un versicolo del
libro Levitico (Lv.19,18): “Amerai al tuo Dio con tutto il tuo cuore, con
tutta la tua anima, con tutta la tua intelligenza e con tutta la tua forza, e
al tuo prossimo come a te stesso”. Trovo più pertinente la traduzione di questa
ultima parte (Lv.19,18) di Franz
Rosenzweig e Martin Buber, che
dice: “Amerai al tuo prossimo che è uguale a te”.
“Va bene, caro mio”, direbbe
Gesù, come direbbe uno “pernambucano”[ii],
e continua:
“Fai questo e vivrai!”,
citando il Levitico 18,5.
L´obbiettivo della conversazione, dello studio del
Torah, è il fare, è la pratica, l´etica
dell´amore. Gesù dice che avrai vita (e no vita eterna). Il cielo è in funzione della terra.
Eternità non come quantità infinita, ma come qualità infinita di vita. Ma
l´uomo non è soddisfatto ancora. La discussione procede con lo stesso schema:
domanda, domanda (replica), risposta (treplica), affermazione ed esortazione.
Adesso
la domanda è: “Se servire a Dio è amare il prossimo, chi è il
mio prossimo?”
Allora Gesù conta la parabola del Buono Samaritano
e conclude con la domanda: “Quale dei tre è stato il prossimo dell´uomo che
è caduto nelle mani di ladri?” La
risposta: “Quello che ha dimostrato misericordia”. Esortazione
finale: “Eccoci, vai e fai lo stesso!”.
Guardando con più attenzione si percepisce che Gesù
inverte la domanda dello scriba. “Chi è il mio prossimo?” si transforma in: “Qui si è fatto prossimo?” Vuol dire, io
non ho un prossimo, io stesso sono il prossimo! Io mi faccio prossimo nell´avvicinarmi
dell´altro. Perché succeda questo movimento si ha bisogno di una qualità. La struttura
narrativa lascia ben chiaro qual´è.
Abbiamo la scena di un´uomo rubbato e ferito in´una
strada molto pericolosa, la strada di Gerusalemme, sulle montagne verso Jerico,
la città che è la più bassa del mondo in localizzazione (258 metri al livello del
mare), un declivio terribile e pieno di curve.
È quando scende un sacerdote, vede l´uomo ferito e
passa avanti. Subito dopo scende un levita, vede e passa avanti. Non c´è d´ammirarsi.
Noi, probabilmente, avremmo fatto la stessa cosa, diffidando da
una trappola con paura di uno assalto. Con
il samaritano succede diversamente. Lui scende la strada, vede la scena, prende
compassione, avvicinasi ed aiuta l´uomo ferito. Quello che cambia la direzione
del suo movimento - di passare avanti per aprossimarsi - è la compassione.
C´è nel testo greco del Nuovo Testamento una parola strana per dire “avere compassione”. I
greci trovano difficoltà nel tradure l´ebraico “nikmeru rachamav”, che letteralmente significa “suo utero si è conttrato”.
Misericordia e utero hanno, in ebraico, la stessa radice: utero, collo materno,
compassione. Organo che riceve la vita, fa crescere la vita e dona la vita alla
luce, è espressione di compassione, di misericordia. Perchè noi possimo amare
il prossimo, tornarci prossimo dell´altro, abbiamo bisogno di sapere amare non
soltanto con il nostro cuore, la nostra anima e la nostra intelligenza, ma,
sorpratutto, con le nostre viscere, il
nostro collo materno, la nostra pancia.
Hai pensato?!
Non solo la devozione al Sacro Cuore di Gesù, ma abbiamo
bisogno di avere devozione al Sacro Utero di Maria! Si tratta della qualità
dell´empatia, dell´identificazione e della conseguente solidarietà creattiva
con l´altro.
Gesù finisce la conversazione dicendo: “Vai e fai
lo stesso!”.
Ebbene, facciamo! Un Natale con passione!
Felice Natale e tutto di buono per 2015!
[ii] Quello che è
nato nello stato di Pernambuco, in Brasile.
Immagine: Pittura di Roberto van der Ploeg : "Dato alla vita" - olio su tela, 0,30 x 0,35 cm. 2008.
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